SAN SEVERINO LUCANO [.com]

Dai richiami di Francesco a quelli di Giorgio Napolitano

Non si è spenta la vasta eco delle parole, dei gesti, suscitata da Papa Francesco nella visita storica di Lampedusa. Sorprese, emozioni, calore umano, appelli che scuotono…
Ha esordito Papa Francesco: “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”; la globalizzazione dell’indifferenza”. E’ il richiamo alla solidarietà più generosa; la corona dei fiori gettata in mare in onore dei fratelli feriti nel naufragio. Poi la Santa Messa. <<Un gesto storico>>, <<parole bellissime>>: la comunità islamica italiana accoglie con entusiasmo e riconoscenza i gesti e le parole del Papa, che ha rivolto un pensiero <<ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan>>. Infine Bergoglio non può non ricordare ai politici di mettere in campo soluzioni costruttive ed umane per gli immigrati in difficoltà, per i poveri e per i rifugiati. E’ il richiamo alla compassione solidale, all’altruismo concreto.
Purtroppo la nostra vita sociale è divenuta troppo superficiale e non riusciamo a percepire la profondità delle dinamiche collettive, per cui le persone sono solo degli “altri”, corpi senza anima o oggetti senza volto, scambiabili e consumabili. Necessita spezzare la logica di un sistema culturale univoco e perverso, di cui si subiscono tutte le contraddizioni e le perversioni, proponendo un’alternativa credibile che riaffermi i valori evangelici della fraternità, della carità, della comprensione e del dialogo.
Andiamo ora alla politica italiana. Giorgio Napolitano richiama tutti alla coesione sociale, al patriottismo che unifica; no all’imbarbarimento della vita civile. L’ora è grave: sostenere il governo in carica e proseguire con le riforme. Ci sono fibrillazioni e conati di xenofobia. Le grandi difficoltà dell’ora presente  richiedono un sussulto di consapevolezza e di partecipazione che non sia circoscritto alla pur necessaria dimensione politica.
La situazione di emergenza non sembra di breve periodo; perciò la tentazione sarebbe adesso la divisione, la fallace risposta della lotta di tutti contro tutti. Dalla crisi non si esce esasperando i conflitti e lo spirito di contesa, ma praticando rinnovata solidarietà e nuova amicizia civica. L’Italia è stata grande quando, nei momenti difficili, tutti si sono fatti carico e si sono presi cura l’uno dell’altro. Questo è tempo di risveglio della consapevolezza che ci lega un destino comune, che solo insieme supereremo le prove che ci attendono e per ciò stesso inizieremo a ricostruire.
Quindi il momento richiede uno sforzo convergente da parte di quanti rivestono ruoli di pubblica responsabilità come pure dei singoli cittadini. Non mancano i segnali della volontà di uno straordinario impegno collettivo, riconoscibili nella disponibilità di tanti a farsi carico dei sacrifici necessari, mentre rimane quasi intatto dinanzi a noi il compito di coniugare misure congiunturali e progetti per il futuro del Paese: la gravità del momento non tagli frettolosamente fuori ciò che va appena oltre i quotidiani bollettini economici.
Tutta la comunità  si sente chiamata a far crescere la coscienza della responsabilità comune nei confronti del Paese. C’è il bene comune da promuovere.
E il primo bene comune di cui l’intero Paese ha bisogno consiste in un rinnovato e rafforzato senso civico e dell’interesse generale. Abbiamo visto come la  spregiudicata speculazione finanziaria l’esasperazione dell’individualismo etico-culturale di piccoli gruppi minacciano pericolosamente la vita di tutti, perchè dilapidano ricchezza collettiva accumulata lungo decenni a forza di laboriosità e di risparmio, e tutto un patrimonio di tradizioni di valori e di vita buona. Finchè non riconosceremo che la crisi si annida nei comportamenti individuali e particolaristici, non impareremo che da li inizia il riscatto che farà vedere la luce ora e negli anni a venire, necessario ancor prima di ogni pur avveduta soluzione di un governo anomalo.
Quindi non si giustificano <<le varie forme di chiusure particolaristiche che insidiano il tessuto sociale, politico e culturale  della nazione: siano esse di stampo corporativo, a livello professionale ed economico, o invece facciano leva su caratteristiche anche positive della propria gente e della propria terra, finendo però col trasformarle in motivi di divisione e di discordia>>.
Come pure se vogliamo uscire da questa profonda crisi, il sacrificio deve essere comune. E, soprattutto, solidale. Chi più ha, più deve contribuire. Al tempo stesso, però, è necessario vigilare perchè i politici non vanifichino, per insipienza e ingordigia, i sacrifici dei cittadini. La politica è chiamata a ridare dignità a questo Paese ormai da troppo tempo in sofferenza.
Papa Francesco chiede a tutti i credenti che la loro fede cristiana agisca con un modo più sociale di amare. Solo così il Vangelo inciderà sulla trasformazione culturale in atto. E’ una sfida senza precedenti:<<richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell’amore con l’ordine sociale considerato in tutta la sua complessità>> (<<Libertatis conscientia>> 81).
Senza la fede, l’etica manca di un saldo fondamento, la politica perde la sua anima, l’economia assoggetta gli uomini e li lascia in balia delle leggi di mercato determinando crisi e disastri sociali.
Dobbiamo impegnarci in prima persona responsabilizzando la nostra vita e dando il nostro solidale contributo per la costruzione di una nuova società a misura d’uomo, superando atteggiamenti dimessi e rinunciatari presenti all’interno della società stessa.

Don Camillo Perrone, Parroco emerito di San Severino Lucano