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Quando la Convenzione di Istanbul è solo un miraggio

Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche tradizionali che vengono eseguite principalmente in 28 paesi dell’Africa sub-sahariana, per motivi non terapeutici.
Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale.
Una pratica che rappresenta una grave violazione dei diritti umani oltre che una manifestazione della disuguaglianza di genere e di discriminazione sociale.
Secondo l’Unicef, ogni anno sono almeno tre milioni le ragazze e le bambine a rischio in Africa. Se non ci sarà una riduzione della pratica, il numero delle ragazze mutilate ogni anno rischia di crescere dai 3,6 milioni del 2013 ai 6,6 milioni entro il 2050.
Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili interessa oggi anche gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la stessa Europa; sebbene i dati sulla sua diffusione nei Paesi europei non siano noti, l’Europarlamento stima che siano circa 500mila le donne e le ragazze che convivono con le mutilazioni.
Nonostante i progressi ottenuti e il fatto che sia formalmente illegale in diversi Paesi africani, le mutilazioni genitali femminili rimangono una pratica comune in vaste regioni dell’Africa occidentale, orientale e nord-orientale, soprattutto a discapito delle bambine tra i 4 e i 12 anni di età.
Una pratica tradizionale, indissolubilmente legata alla cultura locale, che vede nella mutilazione una sorta di rito di passaggio o un requisito essenziale per il matrimonio.
In Ghana, la diffusione delle mutilazioni genitali femminili tra le ragazze in età tra i 15 e i 19 anni si attesta intorno al 2 per cento, un quarto di quello che era trent’anni fa.
A causa di una legge che vieta le mutilazioni, chi nel Paese vuole sottoporre le proprie figlie all’infibulazione deve passare il confine. Molte famiglie ghanesi costringono le loro figlie a passare il confine con il Togo e il Burkina Faso, che hanno leggi meno punitive, per poi riportarle nel Paese.
In Uganda, le mutilazioni sono di fatto illegali e perseguite dalla legge, ma le normative non stringenti hanno consentito che il fenomeno sia portato avanti in modo clandestino: se prima le bambine subivano le mutilazioni anche con rituali di celebrazioni pubblici, ora le famiglie agiscono in piena clandestinità.
Molte ragazze vengono trascinate nei confinanti Kenya e Tanzania dove la cultura del silenzio è talmente pervasiva da far sì che le mutilazioni genitali non vengano denunciate alla polizia.
In Etiopia, nella regione dell’Oromia, vive una comunità chiamata Woredube; una comunità tristemente nota nella regione per la forma brutale di mutilazione genitale femminile che viene praticata al suo interno: l’infibulazione.
Secondo la tradizione della comunità, una volta superato il settimo compleanno, tutte le bambine sono tenute a sottoporvisi. Tradizione vuole che anche le donne adulte vengano sottoposte a ripetute infibulazioni, ogni qual volta i rispettivi mariti stanno lontano da casa per qualche tempo, al fine di controllarne il corpo e la sessualità.
Questa pratica ha costretto generazioni e generazioni di donne della comunità ad una vita di agonia, in termini fisici ma anche psicologici.
Un destino segnato dal sommarsi degli effetti immediati e di lungo termine della pratica, dalle emorragie al dolore acuto durante la cerimonia, alle infezioni che possono subentrare, alle difficoltà nello svolgere un qualsiasi lavoro provocate dalla cicatrice, fino alla conseguenza più estrema, la morte.
Riconoscendo la gravità del problema, ActionAid sta realizzando, a Seru, attività che mirano a sradicare tali pratiche dalla comunità: come workshop di sensibilizzazione, organizzazione di Women Watch Groups (WWGs) composti da donne, giovani e leader religiosi; organizzazione di momenti di discussione comunitari; promozione di eventi per mettere al bando le mutilazioni genitali femminili.
Un processo lento di sensibilizzazione che però sta portando alcuni frutti. Sono le donne e le ragazze che in prima persona iniziano ad attivarsi e ad opporsi alla tradizione, segnalando i singoli casi ai Watch Groups del villaggio vicino ed arrivando a interpellare gli organi giudiziari presso cui chi compie queste pratiche viene processato e incarcerato, oltre ad essere oggetto di stigmatizzazione sociale.
Il 20 dicembre 2012 l’assemblea generale dell’Onu ha adottato la risoluzione di messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili, depositata dal gruppo dei Paesi africani e in seguito sponsorizzata dai due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite. Il 7 aprile del 2011 il Comitato dei ministri del consiglio d’Europa aveva già approvato la convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, convenzione che comprende, tra le pratiche fuorilegge, anche l’infibulazione e le altre forme di mutilazione genitale. Peccato che in alcune zone del mondo sfuggire a queste pratiche disumane sia solo una chimera.

Beatrice Ciminelli

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