SAN SEVERINO LUCANO [.com]

Il Cacch’v: un luogo della nostra memoria e identità

Ritorno al Cacch’v

 

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Con l’ amico Quirino, già membro del Soccorso Alpino e guida ufficiale del Parco e Maurizio, abbiamo programmato in questi giorni un’escursione al Cacch’v, la mitica grotta nota alla comunità dell’Alta Valle del Frido di cui mi parlavano e di cui parlano ancora pastori, cacciatori, contadini. Siamo così partiti per rifare la discesa integrale in corda doppia già compiuta nel marzo 2017 da me e  Maurizio Lofiego. Già verso il 2010, ascoltando appunto i racconti degli anziani del posto, mi misi alla ricerca di questa grotta. Nel 2014, basandomi sulle indicazioni di ex pastori e cacciatori del mio paese, come mio padre,   riuscii in solitaria ad esplorare l’ingresso da sotto, salendo con difficoltà un ripido canalone. Il 14 giugno con Maurizio Lofiego, attrezzati di corda, riuscimmo ad entrare nella grotta. Ci restava da esplorare l’ingresso superiore. Le indicazioni di un vicino di casa parlavano di un sentiero che un tempo veniva percorso con le capre, che passava proprio sull’ingresso sommitale. Ricordo che il Cacch’v ha una forma cilindrica, con due ingressi, uno dall’alto e uno dal basso a forma di porta (come si vede dalle foto). Riuscimmo a scoprire così l’imbocco di quel che restava del sentiero che costeggia alte pareti rocciose, oggi percorso solo da cervi e cinghiali. Una volta scoperto questo spettacolare imbuto sommitale, ci balzò così in mente subito di calarci nel Cacch’v per percorrerlo nella sua interezza, scendendo in doppia con una corda di 60 metri e una più piccola per le calate minori. In totale oltre alla calata principale di 30 metri con una quindicina nel vuoto, ce ne vogliono almeno altre due per scendere e guadagnare i sentieri che riportano alla civiltà. E’ un misto di speleologia, alpinismo e trekking in una delle zone più selvagge del Massiccio. Nulla di difficile, ma si perde tempo nelle varie manovre e comunque bisogna stare attenti per l’asprezza di queste zone rocciose. Portiamo la meraviglia del Cacch’v a tutta la comunità locale, con foto e video, ma molto gelosi di questo luogo di cui non diamo le indicazioni precise, proprio per preservarne l’integrità e lasciare alle nuove generazioni il gusto dell’avventura esplorativa, così come l’abbiamo vissuta noi. Quindi, nessuna intenzione di “valorizzazione” turistica, ma solo di tutela, anche per l’asperità di questi luoghi impervi che consentono l’accesso solo ad escursionisti preparati e motivati. Siamo ben consapevoli però che la conoscenza di questi “luoghi dell’identità e della memoria” è doverosa per il rispetto che dobbiamo alle generazioni passate di giovani che ne erano attratti (in fondo perché li amavano), per vivervi avventure indimenticabili…

Saverio De Marco

Presidente Gruppo Lupi San Severino Lucano

Guida Ambientale Escursionistica

 

 Qui di seguito si riportano i resoconti scritti, video o fotografici di tutte le esplorazioni compiute dal 2014 al 2019, ripresi dal mio blog leucodermis.blogspot.it

 

 

– 14 gennaio 2014 – Escursione in solitaria alla ricerca del Cacch’v

 

Con l’escursione di oggi ho voluto esplorare una zona di Cresta della Madonna di Pollino, versante ripido, selvaggio e inospitale, ma un tempo conosciuto bene da pastori e pellegrini.

Proprio parlando con un vicino di casa che un tempo pascolava, da ragazzo, su questa montagna, mi è stato confermato che “U Cacch’v” è la caverna verticale che avevo avvistato e fotografato da lontano; fin da quando son piccolo ne ho sentito parlare dalla gente di Mezzana. Cacch’v  in dialetto significa “buco” (Cacch’v era anche un grande recipiente a forma di cono rovesciato, che veniva usato dai massari per bollire grandi quantità di latte), e in effetti appare come un grande budello, una caverna verticale tra ripide pareti rocciose dove solo il leccio riesce a vivere abbarbicato ai dirupi.  La dea di questa montagna ha due volti: uno rassicurante, ben rappresentato dai ricoveri dei pellegrini, dallle croci e dalla strada che arriva in cima… e uno orrido e selvaggio: ma c’è da dire che “selvaggio” è soprattutto una condizione ascrivibile al presente… perchè nel passato questi posti erano conosciuti e frequentati dall’uomo, da pastori e cacciatori. Un tempo, come mi dice Zio Vincenzo che nel Cacch’ v andava  a caccia di piccioni selvatici,  esistevano sentieri di capre e passaggi sui versanti più impervi .

Nella mia testa si è insinuata anche l’idea di raggiungere “U Cacch’ v” da sopra, seguendo le suggestioni degli antichi percorsi dei pastori. Ma qui c’è poco da scherzare: ci sono salti verticali e spaccature nella roccia che richiederebbero l’uso di attrezzatura alpinistica (e la tecnica della discesa in corda doppia) e di non procedere ovviamente in solitaria. Come dice Zio Vincenzo i pastori buttavano dall’alto le pietre nel budello di roccia e le sentivano rotolare fino al Frido! Arrivo alla cima del Santuario e poi comincio a scendere. La discesa è all’inizio praticabile, anche se si svolge su terreno roccioso scoperto. Bisogna comunque stare attenti nella progressione… Poi raggiungo una zona in piano occupata dai faggi. Successivamente la discesa si fa più ripida: incontro parecchi salti rocciosi di diversi metri, che mettono a dura prova i miei nervi,  e dove la vegetazione è più intricata.

La soluzione è aprirsi la strada cercando di aggirare i salti rocciosi. Dove ci sono i lecci significa che i pendii sono ripidi e rocciosi, dove si incontrano i faggi si ha un po’ di sollievo, perchè vuol dire che la discesa è più sicura. A volte è proprio grazie ai rami degli alberi che riesco a scendere; mi aggrappo ad essi, corde vegetali primordiali a cui fare affidamento. Si sente l’acqua del torrente, è sotto di me, appare vicino, ma ci sono ancora dei salti impegnativi da superare con cautela…  Arrivo finalmente al letto del torrente, al sicuro, e non mi resta che costeggiarlo, fino a raggiungere le pareti, per tentare di esplorare “U Cacch’ v”. Ed ecco che mi appaiono le pareti rocciose verticali: salgo sulla riva sinistra del torrente per avere una visuale migliore, poi risalgo sulla riva destra e comincio a scalare il ripido pendio. Ho come la sensazione di dirigermi verso la caverna di un Sacro Graal che esiste solo nella mia testa… un Graal pastorale senza valore, inesistente, che vive come un’illusione di pietra tra le rocce e la vegetazione intricata.

Arrivato all’imbocco della “caverna” capisco che potrei procedere in arrampicata sul pendio roccioso e scivoloso, ma che poi in discesa rischierei di scivolare e cadere. Basterebbe qualche altra ginestra o leccio  in più e aggrappandomi ai loro rami potrei sostenermi. Invece ci sono solo corde di rovi che mi ferirebbero. Tento due  volte la salita poi, la mia prudenza di escursionsita solitario (prudente proprio perchè da soli è necessario esserlo) e l’ora tarda mi convincono a desistere e a tornare indietro. Oltrepassato il buco comunque non si potrebbe procedere oltre… questo è poco ma sicuro. Ridiscendo al torrente, lo costeggio fin dove si può e poi vado sulla riva sinistra. Salgo negli ex pascoli oggi invasi da rovi, rose canine, meli selvatici e prugnoli, aprendomi la strada  a colpi di machete. Ci sono delle piccole piantine di leccio… ne cavo una, la voglio portare a mia madre per trapiantarla; glielo avevo promesso tante volte… Prossimamente porterò con me una corda , arriverò al buco e tenterò di vedere cosa c’è oltre… Oppure un giorno si potrebbe tentare di scendere da un altro versante.   “U Cacch’ v”, come merita,  ritornerà alla magnificenza dei racconti dei pastori…

 

– 14 giugno 2015 – ‘U Cacch’v

 

http://leucodermis.blogspot.com/2015/06/

 Resoconto in video: https://www.youtube.com/watch?v=lp9qd1Hadbc

 

– 6 novembre 2015

Luoghi della memoria e dell’identità: U Cacch ‘v, esplorazione dell’ingresso sommitale

 

Con l’amico Maurizio da un po’ di tempo avevamo intenzione di riscoprire l’antico tracciato di  pastori e cacciatori che portava all’apertura sommitale del Cacch’v. Ricordiamo che Cacch’v indica il recipiente usato dai pastori per bollire il latte, una forma che è evidente sopratttto guardando questa caverna dall’alto. Raccontavano i pastori che buttavano le pietre dal buco sommitale sentendole rotolare fino al torrente. Avevamo esplorato già questa caverna ma salendo da sotto (vedere un altro post dov’è presente anche un video dell’escursione), ci mancava appunto la visione dello stesso luogo dall’alto e scendendo da  sopra. L’escursione è stata faticosa, il terreno è insidioso. Un nostro amico di Mezzana ci ha dato utili informazioni su come arrivare in questo posto e lo ringraziamo. E’ una zona impervia e selvaggia, con ripide pareti rocciose coperte dal bosco e si riesce ad percorrerla seguendo unicamente i sentieri e le tracce di cinghiali e altri animali selvatici. Sono loro i veri padroni di casa e noi visitiamo questo posto in punta di piedi, onorando al contempo la memoria di pastori e cacciatori che qui, in questi luoghi selvaggi hanno  trascorso momenti della loro vita.  Luoghi della memoria e dell’identità da riscoprire ma da custodire gelosamente per assicurarne la pace e la conservazione naturale per le generazioni future della Valle del Frido.

 

– 30 marzo 2017  Calata al Cacch’v

Discesa in corda doppia alla grotta del Cacch’v – by Indio e Maurizio Lofiego

Era da tempo che volevamo fare una calata al Cacch’v, la mitica grotta conosciuta dai pastori e dai cacciatori di un tempo. Finora avevamo esplorato l’interno e il foro sommitale in due diverse escursioni. Con la calata abbiamo potuto fare una discesa integrale unendo i due percorsi. Arrivati all’ingresso prepariamo l’attrezzatura. E’ una discesa delicata, ogni manovra deve essere valutata con attenzione. In primo luogo avvolgiamo la mia mezza corda di 30 metri attorno ad un albero per arrivare al punto in cui dobbiamo fissare la corda di 60 metri, con cui ci caleremo nella grotta dall’ampio foro sommitale. Maurizio si assicura alla corda e si cala in doppia fino al grande albero su cui fisseremo la corda lunga, avvolge una fettuccia e tramite una longe si assicura all’albero creando una sosta; solo dopo che ha fatto questo si sgancia dal discensore.

Poi scendo io, sempre in doppia sul ripido pendio per portargli la corda lunga, che ho sullo zaino. Mi aggancio anche io all’albero. Srotoliamo insieme la corda e la buttiamo giù. “Fa impressione anche solo buttare la corda là dentro”, afferma Maurizio. Ed è così, il Cacch’v visto dall’alto fa un’enorme impressione ed è certo che in questi casi non si possono sbagliare le manovre, perché si rischia davvero “l’osso del collo”. Il Cacch’v era il recipiente usato dai pastori per bollire il latte, di forma cilindrica. In questo caso abbiamo a che fare con un cilindro di una trentina di metri, quasi a forma di imbuto. Preparo il discensore e comincio a calarmi, un passo alla volta. Qualche pietra inevitabilmente rotola giù, finendo nella grotta con un rumore ritardato. Qualche anziano mi ha raccontato che da giovani i pastori si divertivano a buttare le pietre dall’alto per sentirle rotolare giù per diverse decine di metri.

Arrivati sull’orlo della grande apertura circolare, sappiamo che non potremo più tenere i piedi alle pareti e dovremo calarci nel vuoto per una quindicina di metri. E’ il momento più adrenalinico della discesa. Ci sono finalmente, è ora di staccarmi dalle pareti; il movimento mi viene un po’ brusco e sbatto con il ginocchio sinistro, ma non forte; la corda si tende, resto sospeso nel vuoto. In realtà calarsi nel vuoto appesi “ad un filo” è più facile e comodo rispetto a quando si tengono i piedi alla parete; averne timore è per lo più un fatto psicologico. Arrivato giù, grido a Maurizio che sono sceso e mi sono staccato dalla corda. Mi allontano dall’apertura, perché Maurizio smuoverà delle pietre che potranno cadere… e così succede. Maurizio da sopra mi grida che cascano le pietre, ma lo tranquillizzo perché sono al riparo sulle pareti sul lato destro della grotta. Accendo l’action-cam e la macchina fotografica, per riprendere la scena, fra un po’ Maurizio sarà dentro: arriva, sembra stare a testa in giù come un pipistrello. Eccolo staccarsi e scendere sullo sfondo del cerchio illuminato dell’apertura circolare, che contrasta con la scarsa luce dello “stanzone” interno della grotta.

Recuperiamo la corda, facciamo una sosta e poi ridiscendiamo: ci attendono altre due calate in doppia più facili, l’ultima delle quali difficoltosa per la presenza dei rovi. Stavolta usiamo la mezza corda da trenta metri. Mentre mi calo mi fermo dove posso e con il coltellaccio a taglio i rami delle spine, per agevolare la discesa del mio compagno. E’ un misto di speleologia, alpinismo ed escursionismo su terreno impervio e selvaggio, l’escursione di oggi.

Ma al di là dell’adrenalina e dei dettagli più tecnici di questa discesa, le osservazioni naturalistiche non sono mancate durante l’escursione: a cominciare dall’avvistamento di una grossa fatta di lupo, del merlo acquaiolo e di una coppia di corvi imperiali, oltre alle fatte ed impronte di cervo. Quel che conta è vivere la natura nel suo stato di wilderness, cercare sempre l’avventura, indipendentemente dall’attività praticata.

Saverio De Marco

 

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