L’uccisione del maiale di Carmela De Marco - San Severino Lucano blog realizzato da Francesco Fittipaldi e Roberto Forte © 2003-2015
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L’uccisione del maiale di Carmela De Marco
Di Admin (del 23/06/2014 @ 22:23:07, in news, linkato 671 volte)
L’ UCCISIONE DEL MAIALE Quest’articolo lo scrissi circa 15 anni fa, quando fui affascinata da una pratica che un giorno sarebbe, forse, scomparsa del tutto. Nelle frazioni, anche se con numeri molto ridotti, l’antica usanza dell’uccisione del maiale però, resiste ancora. Tra gli ultimi giorni di dicembre e i primi di gennaio si è svegliati da grida strazianti provenienti anche dalle vicine frazioni: si uccide il maiale. Nel fatidico giorno gli uomini e le donne si dividono i compiti: ai primi i lavori che necessitano della forza e alle seconde quelli in cui servono manualità e ordine. Ci si sveglia di buon’ora quel giorno. Dopo un’affrettata colazione, che può essere basata pure su carne arrostita, inizia una delle pratiche più crudeli di questi luoghi. Ci si reca nella ‘`zimma». La massaia di casa, con un recipiente contenente grano turco, incita la bestiola ad uscire mentre gli uomini sono pronti con le funi: ne dispongono una intorno al muso, per renderlo inoffensivo e le altre alle zampe anteriori. E’ trascinato così fino a che, catapultato sullo “scanno”, ( tavolo concavo costruito per quest’occasione) uno degli uomini, il più coraggioso, infila con tenacia la lama affilatissima del coltello, nella gola dell’animale. Lo sfortunato, se non muore subito, è costretto ad ansimare con ritmo penoso o, peggio, è costretto a subire ulteriori infiltrazioni della lama in altre parti della gola. L’ultimo respiro del malcapitato indica la morte e quindi l’ordine agli uomini di proseguire e alle donne di raccogliere il sangue che fuoriesce dalla gola della bestiola. E’ cosparso d’acqua bollente, per rendere il pelo più facile da radere. La pelle è pulita con il limone. Raso e pulito si procede nel legare i piedi posteriori con una fune per poi appenderlo al soffitto a due grossi ganci. Si va avanti poi a sventrarlo. Si asportano, con taglio netto e deciso genitali e vescica . Questa, svuotata dell’urina, si gonfia tramite una cannuccia fino a diventare un palloncino rosa pieno di venature che verrà essiccato e poi riempito di sugna e salsicce. Tolti i genitali, si asporta la testa e poi, un taglio verticale sul corpo, permette di estrarre cuore, fegato e intestini. Le donne della famiglia preparano il ricco pranzo da offrire a coloro che hanno operato. Un tempo il pranzo costituiva un momento di aggregazione e di festa tra amici e parenti e gli invitati potevano raggiungere pure le trenta o quaranta persone. “U nvito”, così si chiamava. Oggi sono poche le famiglie a fare “u nvito”; la vita moderna, anche qui, in questo piccolo angolo del mondo, spinge ad agire in modo funzionale. Dopo aver pranzato, gli uomini si ritirano, le donne più giovani lavano i piatti e quelle più grandi puliscono le budella del maiale. Le interiora svuotate e lavate con acqua tiepida, sono girate con una particolare tecnica per far sì che la parte interna diventi esterna. Lavare le budella è un lavoro delicato e difficile, va eseguito con accuratezza e pazienza poiché l’intestino può perforarsi o può rimanere sporco. Le mani delicate e decise delle donne sono adatte a questo tipo di lavoro che molte ragazze non vogliono più fare. Il giorno dopo ci si alza di buon’ora, gli uomini di casa badano a tagliare a pezzi il maiale. I pezzi sono disossati e dati alle donne che tagliuzzano e dividono accuratamente la carne: quella rosa per le soppressate, quella rossa per le salsicce e quella piena di grasso per la salsiccia grassa. Si riuniscono le donne della famiglia e le amiche della mamma, quelle cui ci si può rivolgere in caso di bisogno. Le donne tra una coltellata e l’altra parlano di sé e si ritrovano nei pettegolezzi paesani. C’è un solo modo per evitare di “fare la carne”: essere mestruate. Questa credenza ha origini antichissime. Si afferma che una donna quando ha le mestruazioni emetti un fluido dannoso per la carne e a costei è vietato persino sfiorarla. Molte sono le testimonianze di donne che hanno mandato a male le salsicce per aver cercato di sfatare questa credenza. La carne, era sminuzzata, un tempo, con due lame di coltello, oggi con una macchina. Macinata, viene stesa su una tavola quadrata: quella per le salsicce si condisce con il peperone, il sale e pepe mentre quella per le soppressate solo con pepe e sale e, a scelta, un poco di peperone a polvere. Pressato sul tavolo, il composto, assume le sembianze di una grossa pizza su cui sono cosparsi gli ingredienti. Le donne si alzano le maniche delle maglie e iniziano quasi a prenderlo a pugni, mescolando. Gli assaggi: un rituale a volte irritante. Per controllare se è ben condita di sale, si mette un po’ di carne in un tegamino a soffriggere. Alcune dicono: “ buona”, altre: “salata”, altre ancora: “troppo dolce” e alla fine con diffidenza, sentenzia la padrona di casa. L’ultima operazione consiste nel fare la “cunzima” Nelle zone montuose, ovviamente, non si produce olio che un tempo era un condimento raro e costoso,in possesso solo delle famiglie, le cui donne erano braccianti stagionali retribuite a cottimo nel Metapontino. Il grasso del maiale sostituiva l’olio. Il lardo tagliato a cubetti viene riposto in grosse pentole, produce un estratto che, riversato in vasi di terracotta, si raffredda e si solidifica diventando bianco e compatto: la sugna. I pezzetti di grasso, il cui volume, dopo tale operazione si riduce di molto, si chiamano “frittuli”; oggi sono dati ai cani ma fino a un decennio fa si servivano a tavola, mentre una cinquantina di anni fa erano preziosi quanto la carne. Oggi sono in molti a non avere il maiale. Si acquista la carne dal macellaio per farne salsicce e soppressate. Alla domanda: “picchì nun t’hai crisciut’i u puorcu?”, si risponde” nun mi cummena”, non mi conviene. In effetti, in quest’ultimo decennio, sì è verificato un profondo mutamento nell’alimentazione delle famiglie. I giovani non vogliono più mangiare le orecchie, i piedi e tolgono il grasso dal prosciutto. I loro genitori, appartenenti a quella generazione che non ama vedere lo spreco, preferiscono rinunciarci. Un tempo poi, si seminavano orzo, biada, fave ecc. Per alimentare il maiale, si utilizzavano le proprie coltivazioni mentre oggi è necessario comprare i mangimi. Eppure, tutti i prodotti che si riescono a ricavare dal maiale, sono l’esempio di come il mondo contadino, sapesse sfruttare ogni risorsa che veniva dalla natura. Carmela De Marco
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