SAN SEVERINO LUCANO [.com]

Un corredo per ogni donna

Donne sedute davanti casa con l’uncinetto in mano a preparare il corredo per le proprie figlie.
E’ questa l’immagine che mi salta subito in mente pensando alle donne di questo angolo del mondo.
Tutta la vita di noi donne è in fondo ruotata attorno a quel corredo.
Era questa la principale aspettativa delle nostre mamme ed era questa l’aspettativa delle mamme delle nostre mamme.
Si iniziava presto a preparare il corredo, la mia iniziò quando avevo circa 10 anni.
E noi crescevamo con la convinzione che la nostra vita, il nostro destino, sarebbe stato questo: sposarsi e usare il corredo preparato con tanta amorevole cura dalla mamma.
E’ stato un faro eretto per tutte le donne questo, come una tradizione da tramandare o forse, semplicemente, non si conosceva un destino migliore.
In realtà, credo che la nostra piccola società sia stata da sempre una società apparentemente patriarcale ma di fatto matriarcale.
Le nostre nonne venivano scelte da giovanotti che si presentavano a casa e si dichiaravano senza interpellare prima l’interessata. Non erano rari i matrimoni combinati dalle famiglie.
Una bella ragazza povera aveva le possibilità di sposarsi quanto quella brutta ma ricca e la ricchezza era misurata dalla dote che portava.
Obbligatorio era arrivare vergini al matrimonio, ne valeva soprattutto il buon nome della famiglia. Anche un semplice bacio dato in pubblico dal fidanzato metteva a rischio la sua onorabilità, “i fidanzati cattivi” erano chiamati coloro che baciavano una donna in pubblico e poi non la sposavano.
Le donne non avevano scelta: o si sposavano o rimanevano “signorine” (nubili) e comunque fosse la condizione il loro ruolo era sempre quello di prendersi cura degli altri. Il destino delle nubili era quello di dedicare tutta la loro vita a fratelli e sorelle, nipoti e genitori. Le donne non sposate dovevano rimanere vergini per la vita, per conservare l’onorabilità della famiglia più che quella per sé stesse. Le nostre nonne avevano un fare silenzioso e sottomesso, eppure erano loro a gestire l’economia familiare, erano guide indispensabili per quei mariti forti e spavaldi che le volevano buone massaie e instancabili lavoratrici in grado di mettere al mondo tutti i figli che “Dio mandava loro”.
Venne poi il “ ‘68” e la rivoluzione femminista, ma qui non se ne vedeva neppure l’ombra.
Le figlie di quelle donne pazienti continuarono a prepararsi il corredo. Qualcosa era cambiato. Qualcuna proveniente (ma non necessariamente) da una famiglia benestante, poteva continuare gli studi e diventare maestra. Queste fortunate ragazze, per la prima volta, ebbero l’opportunità di fare il loro destino. Non si fidanzavano più come le loro mamme ma avevano la possibilità di scegliere chi amare. Da fidanzate erano sempre sotto la rigida vigilanza di fratelli e genitori perché ancora la “serietà” era sinonimo di onorabilità della famiglia. Si teneva molto in considerazione la storia della famiglia d’origine nella scelta di un fidanzato.
Gli uomini invece non riuscirono a modificarsi, rimasero chiusi nel ruolo che era appartenuto ai loro padri. All’uomo era consentito quasi come una conformazione naturale, uscire, ubriacarsi e restare intere serate al bar con gli amici. Pretendeva dalla moglie una vita ordinata, sicura, fatta di puntuali pranzi e cene, indumenti sempre puliti e stirati. Erano padri autorevoli, poche volte autoritari. Non erano avvezzi alle coccole ma la dedizione e l’amore per i loro figli traspariva dai sacrifici che erano disposti a fare per loro. Furono padri emigranti in terre straniere, perennemente lontani da casa, alla ricerca di un lavoro che garantisse alla loro famiglia una vita agiata. Uomini disposti a dormire sotto i ponti, a vivere sulla loro pelle il razzismo, l’intolleranza, la fatica più aspra.
Le donne sposate nella nostra comunità non potevano lavorare, a meno che fossero maestre o impiegate; il lavoro manuale era un affronto all’uomo, era come sputargli in faccia un suo fallimento.
Queste donne iniziarono a convincere i mariti sull’importanza di un diploma o di una laurea per le loro figlie e seppero adattarsi ai tempi, pur nel loro agire silenzioso, paziente, intuitivo e, direi, anche benevolmente furbo, pur continuando a preparare il corredo alle loro figlie.
Sono state guide e complici di figlie che si apprestavano a vivere come donne del XXI secolo.
Le donne di oggi sono omologate al resto del mondo. Consapevoli delle loro potenzialità, del loro corpo e della libertà di decidere per il loro futuro. In questo piccolo angolo del mondo conservano ancora una grande pazienza, semplicità e spirito di sacrificio. I loro mariti sono premurosi, molto diversi da quelli che hanno avuto le loro mamme. Gli uomini oggi aiutano le mogli nel menage familiare, coccolano e si prendono cura dei figli in modo quasi paritario. Eppure, in essi vivono come calcificati vecchi retaggi. Dilagante è un atteggiamento che da un lato elogia la donna libera e indipendente ma, di fatto, tende ad ancorarla a modelli del passato. In realtà gli uomini continuano a sognare una donna che sappia preparar loro la pasta fatta in casa, che lavi, stiri e stia buona e zitta. Chi esce da questo modello apatico, diventa bersaglio, motivo per farfugliare pettegolezzi e allusioni, superficiali e cattivi, nel chiuso dei bar. Un atteggiamento questo, stratificato, che riguarda un po’ tutti, indipendentemente dal livello culturale.
Le donne continuano ad adattarsi, a modificarsi e a plasmarsi di volontà e coraggio, scontrandosi e pagando spesso il prezzo di un maschilismo radicato e più subdolo di quello del passato, perché nascosto sotto le vesti di una società moderna.
Hanno smesso di preparare il corredo per le loro figlie, forse nella speranza che imparino a provvedere da sole alla loro vita, e a scegliere anche se prepararsi o meno il corredo.

Carmela De Marco

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