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Unioni (in)civili: J’Accuse

Ebbene sì, ha avuto il placet, è legge. Si scrive unioni civili, si legge pastrocchio. Di cosa stiamo parlando? Di evoluzione, è chiaro, dell’Italia che si allinea al resto dei Paesi civili. Bene, benissimo. Entriamo “in medias res”. Due istituti completamente diversi per le coppie omosessuali e per quelle etero che non intendono sposarsi, ma solo convivere. Dal codice civile prendiamo quello che ci va, togliamo quello che non ci va.
Come il matrimonio, l’unione si costituisce di fronte all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni ed è iscritta in un registro comunale. Ci si chiede se le parti, per la scelta del cognome da adottare in caso di coppia omosessuale lanceranno in aria una moneta.
Per la successione valgono le norme in vigore per il matrimonio: al partner superstite la legittima, cioè il 50% e il restante agli eventuali figli. In caso di morte di uno dei due partner, l’altro ha diritto di subentrare nel contratto di locazione. Se il “de cuius” è proprietario della casa, il convivente superstite ha diritto di continuare a vivere in quella casa tra i due e i cinque anni, a seconda della durata della convivenza.
Sono riconosciuti alla coppia i diritti di assistenza sanitaria, carceraria, unione o separazione dei beni e i doveri previsti per le coppie sposate.
Non c’è obbligo di fedeltà, quella la riserviamo agli ingenui che scelgono le tenaglie del matrimonio. Suvvia, il codice del ’42 è vecchiume.
Udite, udite, in caso di scioglimento si applicano “in quanto compatibili” le norme della legge n. 898/ 1970 sullo scioglimento del matrimonio, ma non sarà obbligatorio il periodo di separazione.
Ah, in proporzione alla durata della convivenza, possono chiedervi gli alimenti. Dite che vi conviene?
Le norme sulla stepchild adoption sono state stralciate. Restano le norme vigenti in materia di adozione. Menomale. Anche un orologio rotto due volte al giorno segna l’ora esatta.
Per il fronte arcobaleno ovunque ci siano affetti c’è famiglia ed è dunque “necessario” introdurre un’equiparazione per le coppie omosessuali, parificandole de facto alla famiglia naturale, anche se questo significa sovvertire le leggi di natura, arrecando un vulnus al diritto di famiglia.
Che persone dello stesso sesso possano “sposarsi” ed “avere figli” sta alla biologia, all’antropologia, al diritto, come “due più due fa cinque” sta all’aritmetica. Frasi grammaticalmente esatte che non hanno alcun riscontro nella realtà. Imporre ciò che non è reale per legge, pretendendo che esso abbia lo stesso valore giuridico di ciò che è reale è l’ultima frontiera della tirannide del numero: un potere totalitario, a legibus solutus, prometeico, in grado di plasmare l’esistenza sulla base del capriccio e del desiderio.
“Se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”, però, perdonami Faber, J’accuse.

Beatrice Ciminelli

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