Quel giorno le pietre della gradinata che porta a Cappella mi sembravano più grigie del solito.
La mamma mi stringeva la mano e camminava in silenzio, pensierosa, dietro una piccola folla.
Iniziai a contare i garofani rossi caduti sulle pietre grigie e li trovavo bellissimi e sconvolgenti.
Il loro profumo però m’inquietava; era invadente, sembrava coprisse ogni altro profumo di primavera.
Ritrovai poi quel profumo di garofani rossi, sconvolgente e drammatico, come in quel giorno inconsapevole, quando persi zia Carmela.
Zia non c’era più, mi era stato detto; era salita in cielo dai suoi Santi e dalle sue Madonne.
Corsi lontano da casa, lasciando tutti in lacrime. Mi sedetti su un muretto.
Rimasi col capo chino a fissare una piccola formica, chiedendomi se anche lei avesse una zia. Il dolore di una bambina è trasparente, senza forma, né consistenza, eppure è un sussulto, incontenibile e violento.
Osservavo tutto ciò che mi circondava , alla ricerca lancinante del perché di quel giorno . Alzavo gli occhi al cielo ma anche le nuvole sembravano muoversi, solo perché sospinte da quella tristezza immensa.
Pensavo alle gonne scure di zia, ai suoi sorrisi e alle sue premure e iniziavo a chiedermi come avrei fatto a vivere senza di lei. Riflettevo su cosa inventarmi per l’indomani, per non avvertire quel gravoso e insostenibile pensiero.
Piangevo, avrei voluto vederla,non mi consolava il pensiero della sua salita al cielo. Armandomi di forza, smisi di piangere, scacciai prima con le ciglia e poi con la mano le lacrime dagli occhi e iniziai a guardarmi intorno. Zia ora era ovunque: in quelle nuvole sospinte dal dolore, nel canto malinconico degli uccelli, nell’orizzonte de imonti, accanto a quella formica affaccendata.
Zia era nel respiro di quel giorno e domani, sarebbe stata ancora lì.
Carmela De Marco