SAN SEVERINO LUCANO [.com]

Una enciclica storica di vibrante attualità e validità

Un appello che fece epoca, la <<Pacem in Terris>>, ottava e ultima enciclica di Giovanni XXIII, fu pubblicata l’11 aprile 1963.
Si presenta a 50 anni dalla promulgazione come la più solida costruzione profetica della Chiesa cattolica sul tema della pace. Il suo contesto genetico è la fine del 1962, quando gli Stati Uniti e Unione Sovietica si confrontarono sul baratro del rischio atomico. Il mondo trattenne il fiato di fronte alla probabilità di un olocausto generale. E il “Papa buono” si compromise, reclamando la tregua e rivolgendosi – senza distinguere chi avesse torto e chi ragione – a entrambe le parti in contesa e ai rispettivi leader, Kennedy e Krusciov.
Un impatto grandissimo sull’opinione pubblica, con la sua richiesta di fermare la corsa agli armamenti e di mettere al bando le armi nucleari, anche perchè arrivava a ridosso della crisi missilistica di Cuba, con il braccio di ferro tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Molti sono gli elementi che rendono ancora attuale la “Pacem in terris”. A cominciare dalla sua prospettiva ottimista sull’umanità, nonostante i segni negativi, come la minaccia di una nuova guerra atomica, gli squilibri sociali tra ceti e tra Stati, le contrapposizioni ideologiche. La pace infatti è possibile, perchè le persone, nonostante i limiti che le attanaglino, sono esseri capaci di bene e di dialogo.
Altro elemento di attualità è l’affermazione, in un contesto “liquido” come il nostro, propiziato dal relativismo, che la convivenza sociale è comunione di persone, unite moralmente e spiritualmente, impegnate nel raggiungimento del bene comune. Non può poi essere dimenticato l’elemento di attualità formulato come facoltà di comandare secondo ragione e non mediante una forza prevalentemente e non mediante una forza prevalentemente coercitiva.
E ci sono molti altri elementi che rendono attuale detta enciclica. Intanto occorre riflettere sul tema del lavoro coinvolgendo governo,  imprenditori e organizzazioni dei lavoratori affinchè siano tutti <<chiamati a farsi carico dei nuovi problemi della nostra società>> con una partecipazione non puramente formale ma effettiva, insistendo sui due elementi basilari di una qualsiasi convivenza civile, primato della persona e della sua dignità, proponendo e difendendo sempre e comunque il perseguimento del bene comune respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano, per non ricadere nelle incomprensioni e nelle ingiustizie del passato.
La caduta del senso di socialità ha prodotto tendenze egoistiche, gonfiando a dismisura il catalogo dei diritti e delle pretese dei singoli, esaltando l’individualismo e lasciando totalmente in ombra i doveri, le relazioni e le responsabilità; tutti indifferenti alle proprie responsabilità, tutti complici nel fingere di non sapere.
E’ necessaria molta prudenza e cautela – ma nello stesso tempo un eroico coraggio – per individuare con chiarezza le implicazioni, il potenziale di bene e di male del nostro atteggiamento per affrontare in maniera creativa le sfide che il mondo di oggi ci pone e le opportunità che offre per poter contribuire efficacemente e positivamente al confronto con gli altri, coniugando ricerca dell’autenticità e accettazione dell’alterità: processo che può essere fecondo soltanto se sapremo contribuire al faticoso rinnovamento del mondo nell’unica maniera possibile: incominciando da noi stessi, con l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti.
Il 65° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani poi offre a noi l’occasione per approfondire il rapporto tra giustizia e diritti umani su cui si è soffermata l’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII. Ci sono, infatti, dei beni che competono alla persona in quanto tale e che, perciò, devono essere riconosciuti per giustizia. Si tratta di tutti quei beni che costituiscono e salvaguardano la dignità della persona umana e che la coscienza dell’umanità ha via via riconosciuto come diritti fondamentali e universali dell’uomo.
Tra questi diritti troviamo opportunamente codificati anche quelli sociali ed economici.
Un autentico spartiacque per la dottrina sociale: la sua lista di diritti e doveri universali ne costituiscono una pietra miliare.
Le parole di Giovanni XXIII ci ricordano che il dialogo è possibile e la convivenza l’unica via d’uscita da conflitti e crisi.
A cinquant’anni dalla sua morte, la Chiesa di Giovanni XXIII non è un’utopia. Le sue due encicliche “Mater et magistra” e “Pacem in terris” pongono la Chiesa al centro delle questioni del mondo e permettono a essa di inoltrarsi, più profondamente, nel cammino verso la verità assieme a tutti gli altri. Il Vangelo deve raggiungere ogni uomo, senza alcuna preclusione. Su questa scia si muove Francesco. Lo ha spiegato lui stesso, con grande chiarezza, parlando all’Assemblea della Cei, affermando che il vescovo deve stare davanti al popolo, ma deve stare anche dietro a spingerlo. E soprattutto deve stare in mezzo per condividerne gioie e sofferenze.

Don Camillo Perrone, Parroco emerito di San Severino Lucano