SAN SEVERINO LUCANO [.com]

Nei calanchi del Sinni tra natura e storia

E’ da quando ero studente e dalla Sinnica osservavo il paesaggio a ridosso del fiume, che sarei voluto andare a curiosare tra i calanchi che sovrastano il tratto del Sinni compreso tra Francavilla ad Episcopia. Questa zona è l’esempio di come i luoghi selvaggi non debbano per forza di cose essere lontani da case e strade trafficate. Ambienti selvaggi dove non va mai nessuno ci sono anche a poca distanza da una strada a scorrimento veloce. Con Maurizio Lofiego avevamo intenzione di fare birdwatching per osservare gli uccelli acquatici, ma la giornata  finirà come un’escursione nei calanchi del Sinni. Attraversiamo il fiume con gli stivali e facciamo un po’ di foto ad aironi e cormorani. Sono animali estremamente diffidenti, appena ti vedono si allontanano. Lasciamo gli stivali per poi riprenderli al ritorno. In un punto non si può proseguire lungo la riva destra, per chè le pareti sono a strapiombo sul fiume, per cui le aggiriamo arrampicandoci sopra i calanchi. La piana alluvionale inganna, le distanze son lunghe, mentre le mete sembrano vicine. L’ambiente è quello tipico della vegetazione ripariale, unito alla macchia mediterranea delle colline argillose che sovrastano il fiume: pioppi neri, elicriso, macchie di lentisco, corbezzoli, lecci, roverelle, canneti. Incontriamo anche fatte e impronte di cervo. Ridiscesi alla riva del fiume lungo la scarpata ci dirigiamo verso la nostra meta, una specie di canyon che crea una spaccatura tra i calanchi. L’ambiente ricorda quello visto in tanti fumetti e film western… potrebbe essere il Rio Bravo, nel Texas… Procediamo lungo un canale mentre la vegetazione comincia ad infittirsi: l’ambiente qui è insidioso. Possiamo osservare le particolari formazioni geologiche di questa zona: massi e pietre levigate (trasportati quindi dalle acque) sono incastrati nella matrice argillosa che forma i calanchi. Si incontrano, a terra, anche conglomerati di roccia dura, la cui matrice tiene unita frammenti (clasti) di varie dimensioni. E poi stratificazioni di argille dal verdastro al bordeaux, forse metamorfosate e le particolari “pieghe” degli strati sedimentari, dovute ai movimenti tettonici. Per il suo interesse geologico, il sito è entrato a far parte, assieme a tanti altri, del Patrimonio dell’Unesco. C’è anche una formazione piramidale, che come sapremo dopo, un tempo era una sorta di penisola all’interno del Sinni, l’eremo di San Saba. Ecco cosa abbiamo appreso da Alberto Viceconte di Episcopia su Facebook: “l’enorme scoglio che hai fotografato fu il rifugio e l’eremo del Santo monaco italo-greco Saba il Giovane che ne abitò la sommità ben 1067 anni fa. In seguito questa imponente struttura prese proprio il nome di “Eremo di San Saba” e venne abitata dal Beato Giovanni da Caramola nel XIV sec. e dal monaco Pietro Cafaro di Episcopia nel secolo successivo”. Per geologia, natura e storia l’ambiente è unico… unica nota stonata è il costante rumore delle macchine che sfrecciano a qualche chilometro da noi. Continuiamo a salire lungo un fossato, ma per arrivare alla spaccatura dobbiamo superare un groviglio di rovi. Ci aiutiamo con i nostri coltellini a serramanico e ci apriamo la strada fino in alto.”Il canyon del diablo”, questo è il primo nome fantasioso che mi è venuto in mente. Questo è il luogo più spettacolare. Un masso è rimasto incastrato sopra di noi, tra le pareti della forra. Tornati giù ci dirigiamo verso quello che abbiamo chiamato “L’Anfiteatro”, con alte pareti a picco verticali. Sulla destra si notano particolari formazioni erosive, una delle quali ricorda il profilo di un fungo. E’ il tramonto e dobbiamo tornare alla macchina. Bisogna guadagnare la riva destra del fiume, perchè dobbiamo aggirare il tratto dove il fiume costeggia le pareti. Il metodo non può essere che uno: levarsi le scarpe e legarle a tracolla. Ripetiamo l’attraversamento del fiume un’altra volta, infatti, per andare a recuperare gli stivali dobbiamo tornare sulla riva sinistra; e così facciamo mentre cala il crepuscolo, recuperiamo gli stivali, li indossiamo e torniamo alla macchina dopo avere attraversato un sottopasso…Questa zona merita di essere esplorata bene, per metterne in risalto il grande valore ambientale e culturale che possiede.

 

Saverio De Marco

 

Presidente Gruppo Lupi San Severino Lucano

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